Perseguitato dal fascismo, scordato per anni dopo la morte, Giuseppe Rensi attraversò la cultura italiana come un corpo estraneo. Come spesso accade, sono proprio queste figure a resistere infine al tempo. Rensi fu un filosofo che non si adattava al suo contesto: scettico radicale, non toccato dalla fede nella razionalità del reale, risultava molesto tanto agli idealisti quanto agli scientisti. Ma il suo scetticismo era inquieto e mobile. Con gli anni, i suoi testi apparivano come pagine di un mistico senza pretese di salvezza, un uomo che evita di richiamarsi al divino ma parla di un’esperienza più affine a quella di Meister Eckhart o dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita che non a quella dei filosofi che occupavano le cattedre da cui la dittatura lo aveva scacciato. Grande lettore e commentatore dei classici, prosatore limpido ed efficace, Rensi ha predisposto in queste Lettere spirituali, apparse postume nel 1943, il tracciato perfetto che ci permette, oggi, di ripercorrere, partendo da un punto vicino alla fine, tutto il suo cammino filosofico.