Opera poetica e, in tal modo, anche morale, le "Operette" leopardiane sono un magma letterario al contempo cristallino e indecifrabile. Assommano nelle stesse pagine teatro filosofico e narrazione fantastica, trattato sull'infelicità totale e leggera ironia, forse a tratti serenità, che la storia della civilizzazione - pur violenta e incoerente - ha al contempo disperso o negato. Ed è spesso sul lessico della commedia che si innesta l'esito ineluttabile della tragedia. Nel riso balugina una saggezza esperta degli inganni del mondo e della vacuità della vita. La critica feroce del Leopardi a ogni forma di restaurazione e di conformismo, la sua indagine sulla natura, madre e carnefice, lo sguardo sulla materia che crea e distrugge, il pensiero della finitudine e dell'irreversibile, quindi della morte, divengono in questo libro affabulazione e dialogo, racconto e finzione teorica. Eppure, se la vita è deserto, le ombre nere del nulla paiono scuotersi, e forse nello sforzo letterario risiede una fiammella di inestinguibile potenza, sembra dirci Leopardi.