Influenzato dalle teorie della biologia darwiniana e da quelle di Cesare Lombroso, Guglielmo Ferrero ritiene che l'uomo “naturale” sia essenzialmente violento. I suoi atti violenti sono determinati dalla paura e dalla libido dominandi, e infatti la civiltà raffinata del XIX secolo è in realtà una sovrastruttura che poggia sulla base assassina dell'essere umano naturale. Ne Il militarismo, scritto al tramonto dell'Ottocento, Ferrero conferma che la ferocia è un aspetto essenziale della natura umana, e analizza le società militarizzate del passato e i militarismi a lui coevi (italiano, francese, inglese, tedesco, ottomano, fra gli altri). Il suo prisma antropologico di scomposizione del reale rimane segnato da un profondo pessimismo, nonostante la fiducia che l'autore ripone nel progresso civile e industriale dell'Europa della belle époque. Oggi che un'Europa priva di autocoscienza e di prospettiva storica sembra sull'orlo di un abisso militarista che preannuncia la Terza Guerra Mondiale, le parole di Ferrero - osservatore lucido di un'epoca in cui le grandi potenze coloniali preparavano una enorme guerra futura - suonano ancora più sinistre e preveggenti.
«L’anima della guerra è la cupidigia dei beni altrui. Tutti i grandi imperi militari, dall’assiro al napoleonico, sono nati dallo sforzo di piccole oligarchie, che volevan vivere troppo, o — per esprimere lo stesso fatto con linguaggio economico — possedere e consumare oltre la propria capacità di produrre.»