L’amore inestinguibile di un cane per il proprio padrone cieco; la vita di un amato maestro di paese; l’amore di una ragazza di provincia con un giovane scultore: ciascuno di questi tre racconti – intitolati rispettivamente "Il cane del cieco", "Un genio sconosciuto" e "Galatea" – ci trascina in un Piemonte rurale, che attende solamente un approdo sicuro alla modernità. Con l’occhio affettuoso di chi quei luoghi li conosce, Bersezio ci guida così fra villaggi remoti (così distanti da Torino!), in luoghi dove la morte è sempre in agguato, certo, ma in cui la vita risorge anche con più forza...
Vittorio Bersezio (1828-1900) nasce a Peveragno, nel cuneese, da una famiglia benestante e di tendenze liberali. Sebbene laureato in giurisprudenza, coltiva fin da giovane una forte passione per la scrittura, tanto da esordire come autore di teatro già nel 1842, con "Le male lingue". Attivo sia in ambito drammaturgico che narrativo, nel 1854 assume la direzione del Fischietto, importante periodico satirico. L’attività giornalistica rappresenta d’ora in poi il suo impegno principale, espresso con la fondazione di un proprio quotidiano – La Gazzetta Piemontese – e portato avanti in parallelo con la politica (nel 1865 è infatti eletto deputato). Profondamente influenzato dalla letteratura francese di Dumas, Balzac e Hugo, ma anche dal romanzo sociale di Zola, Bersezio è noto soprattutto per la commedia "Le miserie 'd Monsù Travet" (1863).