Dopo vent’anni trascorsi all’estero per lavorare, zio Gerolamo rimette piede a casa Varada, in uno sperduto paesello delle campagne piemontesi. Quello che vi trova, però, è tutt’altro che un idillio famigliare: il rapporto fra i coniugi Giacomo e Genoveffa e le loro figlie Giovanna ed Enrichetta è infatti inquinato dall’odio e dalla violenza. Sulla scia dei grandi modelli francesi – in primo luogo Émile Zola – Bersezio compone il mosaico vivace di una piccola realtà rurale, in cui i protagonisti interagiscono con figure quasi archetipiche quali il Parroco (don Pasquale), il Marchese (di Roccavecchia) e lo Speziale (Domenico). Un romanzo vibrante di speranze riformiste e, pur nella miseria e nello squallore che descrive, ricco dell’umanità più autentica...
Vittorio Bersezio (1828-1900) nasce a Peveragno, nel cuneese, da una famiglia benestante e di tendenze liberali. Sebbene laureato in giurisprudenza, coltiva fin da giovane una forte passione per la scrittura, tanto da esordire come autore di teatro già nel 1842, con "Le male lingue". Attivo sia in ambito drammaturgico che narrativo, nel 1854 assume la direzione del Fischietto, importante periodico satirico. L’attività giornalistica rappresenta d’ora in poi il suo impegno principale, espresso con la fondazione di un proprio quotidiano – La Gazzetta Piemontese – e portato avanti in parallelo con la politica (nel 1865 è infatti eletto deputato). Profondamente influenzato dalla letteratura francese di Dumas, Balzac e Hugo, ma anche dal romanzo sociale di Zola, Bersezio è noto soprattutto per la commedia "Le miserie 'd Monsù Travet" (1863).