Sulla falsa riga della sua celeberrima commedia "Le miserie ‘d Monsù Travet", in "La carità del prossimo" Vittorio Bersezio dipinge un quadro impietoso di quella piccola borghesia piemontese – fatta di bottegai da quattro soldi e di miseri impiegati – che popola la sua Torino negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia. Protagonista del romanzo è Antonio Vanardi, pittore sempre al verde che, perseguitato dai creditori, si ritrova costretto a vivere insieme alla famiglia in una soffitta. Opera schietta, a tratti addirittura crudele, ma che dona a chi la legge una panoramica a trecentosessanta gradi delle miserie (ma anche delle velleità) di un intero sottobosco sociale, che animava tutte le grandi metropoli europee in un periodo critico come quello della rivoluzione industriale.
Vittorio Bersezio (1828-1900) nasce a Peveragno, nel cuneese, da una famiglia benestante e di tendenze liberali. Sebbene laureato in giurisprudenza, coltiva fin da giovane una forte passione per la scrittura, tanto da esordire come autore di teatro già nel 1842, con "Le male lingue". Attivo sia in ambito drammaturgico che narrativo, nel 1854 assume la direzione del Fischietto, importante periodico satirico. L’attività giornalistica rappresenta d’ora in poi il suo impegno principale, espresso con la fondazione di un proprio quotidiano – La Gazzetta Piemontese – e portato avanti in parallelo con la politica (nel 1865 è infatti eletto deputato). Profondamente influenzato dalla letteratura francese di Dumas, Balzac e Hugo, ma anche dal romanzo sociale di Zola, Bersezio è noto soprattutto per la commedia "Le miserie 'd Monsù Travet" (1863).