I Silenzi di Dio è unlibro enigmatico e sorprendente. Già dall’epigrafe all’opera, l’autore ci introduce in un’atmosfera favoloso e mistica nella quale tutti i personaggi sono immersi in un dialogo di reciproche parole e silenzi, condividendo la scena di un mondo popolato di voci e di echi interni. Il tempo del narrato si dilata oscillando tra il presente e il passato, il verbo percorre paesaggi reali e sognati, memorie riscattate dall’oblio con un solo gesto.
Per semplificare, si potrebbe che la trama dell’opera consista nel dialogo tra un vecchio e un giovane ragazzo, in un dialogo tra loro di fronte a Dio, e di fronte a se stessi, di fronte allo specchio della vita che trascorre. Ma ciò non basta a definire l’opera dato che questo dialogo, nonostante l’apparente semplicità e linerarità della sua struttura, ci appare come un gioco dalle numerose sfaccettature, un dialogo polifonico, dunque, nel quale partecipa la natura in tutte le sue forme, trasfigurata in una dimensione corale, nella sua doppia funzione di interlocutore e spettatore. Questa la dimensione e lo spazio drammatico dell’opera, uno scenario in cui si presenta la parola di Dio. Ma, chi è questo Dio? Non si tratta certamente di una divinità che contempla l’uomo dall’alto, ma si tratta piuttosto di un Dio incarnato, una divinità, dunque, umanizzata e, per ciò, più che mai tragica, che offre risposte allo stesso tempo che propone domande, una divinità che, in un costante gioco di parole e di silenzi, , esprime la sua più intiima essenza di padre alla ricerca del figlio prodigo che è l’uomo. È questa essenza divina a determinare il profondo lirismo di queste pagine, lesue luci e le sue ombre, i suoi continui salti nel detto e in ciò che non è possibile esprimere a parole. Il narrato avanza in una catena di dialoghi che si sovrappongono gli uni sugli altri, si dipana come una matassa, in avanti, al ritmo dell’incedere di un camminante, e indietro, in un viaggio à rebours verso la memoria perduta dell’infanzia. E infatti, l’infanzia è uno dei protagonisti dell’opera. La sua presenza costante, latente, abraccia e sospende il tempo del narrato. L’infanzia è vista come uno scenario luminoso e al tempo stesso assente, meta di un’eterna ricerca dell’ineffabile essenza umana, l’infanzia come mistero, ingenua e piena di speranze, è come un ponte teso verso il vero senso.
L’inatteso e il tragico attendono in ogni pagina, nelle immagini estatiche nelle quali il tempo pare arrestarsi, o nei trilli allegri che danno voce a una candida e, al tempo stesso, terribile visione della vita. Questa è, sembra volerci dire l’autore, la vita: così semplice e terribile, così ingenua e desolante. Ed è una vita che, come il volo di una farfalla, sembra cedere di fronte all’irruenza delle reti della parola per, subito dopo, sfuffire alla nostra comprensione, nelle pause, fra le verità intuite, nei silenzi.