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Raffaella

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Può l’amicizia sopravvivere ai rovesci della sorte? Continuare a prosperare, nonostante il precipitare degli eventi storici?

Queste sembrano essere le domande alla base di “Raffaella”, romanzo scritto da Silvio Pellico fra il 1830 e il 1831, poco dopo la sua scarcerazione dalla fortezza dello Spielberg, la prigione più famigerata dell'Impero austriaco. In un Piemonte medievale, segnato da lotte fratricide e da guerre sanguinose, due amici di lunga data si ritrovano, loro malgrado, coinvolti nella terribile contesa che, in quegli anni, contrappone il papato al Sacro Romano Impero. Una storia di coraggio, lealtà e affetto che, grazie alla cornice storica, offre a Pellico la possibilità di nascondervi ben precise allusioni alla politica del suo tempo e alla sua stessa vita.

Silvio Pellico (1789-1854) nasce a Saluzzo da una famiglia di commercianti. Nella giovinezza vive fra Pinerolo, Torino e Milano, trascorrendo un periodo a Lione per fare pratica commerciale. Appurato di non essere tagliato per gli affari, inizia una stagione di fermento intellettuale, stringendo amicizia, tra gli altri, con Ugo Foscolo e Vincenzo Monti. Nel 1813 scrive la prima tragedia, “Laodamia”, a cui faranno seguito “Eufemio di Messina” e “Francesca da Rimini”. Nel 1820 è arrestato dalla polizia austriaca per l’affiliazione a una società segreta, venendo incarcerato dapprima a Venezia, poi nel famigerato Spielberg di Brünn. Da questa esperienza, conclusasi nel 1830, Pellico trae l’ispirazione per la sua opera più celebre, “Le mie prigioni” (1832). Tornato in libertà, continuerà a scrivere tragedie, poesie e romanzi, la maggior parte dei quali lasciati incompiuti.