Questo romanzo è un grido di ribellione contro l'orrore della guerra, capace di attraversare i secoli e di apparire ancora più attuale a 110 anni dalla sua pubblicazione. Henri Barbusse ci conduce nel cuore pulsante della trincea, rivelando la realtà della vita dei soldati, prigionieri di un ideale patriottico che non li rappresenta e di un orrore quotidiano, che è fatto del loro stesso sangue, del loro stesso sacrificio. Il fuoco è un romanzo crudele e corale, nato dalla viva esperienza di trincea dell'autore, che pur contrario alla guerra e già ultraquarantenne, partì volontario nel 1914. Con un impegno profondo e sincero, Barbusse, intellettuale comunista, si fa portavoce di una visione antimilitarista, denunciando le atrocità e la perdita di umanità che caratterizzano ogni conflitto. Il suo è un realismo imparziale ma crudo, che non mancò di suscitare scalpore nella Francia dell'epoca: il libro infatti uscì a conflitto in corso e divenne subito il manifesto di tutti i movimenti europei contrari alla guerra. Nei dialoghi di questa nebulosa affollata di soldati - che sono operai, contadini, piccoli artigiani, tutti vittime di poteri politici ed economici più forti di loro - emerge un lessico reale, lontano dall'idealizzazione letteraria. I soldati parlano da soldati perché le loro parole assomigliano alla loro carne, al loro sangue, alle loro orribili ferite esposte, alle loro viscere che marciranno. Così Barbusse riesce a catturare l'essenza dell'umanità, rivelando le fragilità e la solidarietà che fioriscono anche nei momenti di disperazione. Il fuoco resta un invito a non dimenticare e a lottare per un futuro di pace e solidarietà.