Partire, lasciarsi tutto alle spalle e provare a ricostruirsi un’esistenza dignitosa lontano dai mali della vita: la storia più vecchia del mondo, forse, ma anche la più attuale...
Frutto di una rigorosa ricerca storica nell’Archivio di Stato di Venezia, "L’abate Roys e il fatto innominabile" ci trascina in un XVI secolo caotico e disastrato. Le antiche reti d’informazione dell’hinterland veneto – che, fin dal Medioevo, facevano capo a uno stuolo di abbazie, attivissime nella gestione del territorio – iniziano in quest’epoca a vacillare. Le notizie sembrano svanire nel nulla, sommerse da un paesaggio inclemente che impedisce loro di muoversi di villaggio in villaggio. È proprio approfittando di questa fortuita circostanza che la protagonista, Cecilia de Facchi, spera di potersi lasciare alle spalle un’ignobile vita da prostituta...
Fulvio Tomizza (1935-1999) nasce nella contrada di Materada, nel comune istriano di Giurizzani. Cresciuto in mezzo alle tensioni interetniche fra italofoni e slavi, con l’irrompere della Seconda guerra mondiale è costretto a riparare a Trieste con la famiglia. Iscrittosi all’Accademia di Arte Drammatica e alla facoltà di Lettere di Belgrado, nel 1957 esordisce con i primi racconti, cui faranno seguito, di lì a poco, i romanzi della Trilogia Istriana: "Materada" (1960), "La ragazza di Petrovia" (1963) e "Il bosco di acacie" (1966). Ai suoi romanzi, che raccontano la difficile vita degli italiani di frontiera, Tomizza affianca un’originale produzione teatrale ("Vera Verk", "La storia di Bertoldo", "L’idealista") e una serie di testi per l’infanzia ("La pulce in gabbia", "Il gatto Martino"). Nel 1977, col romanzo "La miglior vita", si aggiudica il Premio Strega.