Con la Storia della colonna infame Manzoni ricostruisce il processo contro Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora, che furono ingiustamente accusati di essere untori della peste, e vennero successivamente torturati e condannati a morte nel 1630. Dove abitava Mora, dopo che la sua casa venne abbattuta, fu eretta una colonna detta infame per ricordare ai posteri il misfatto compiuto e la pena subita dallo scellerato, insieme al complice Piazza. I giudici avrebbero potuto evitare l'assurda condanna se avessero fatto uso della ragione, della loro capacità di giudicare, di distinguere il bene dal male. Non lo fecero - questa è l'accusa di Manzoni - non perché non potevano farlo, ma perché non vollero farlo. Questa storia di violenza del potere getta una luce nera e grottesca sull'amministrazione umana della giustizia, qualcosa al contempo di orribile, fragile e precario. L'indignazione, nel Manzoni, non è solo morale, ma comprende una sua partecipazione commossa di fronte alla sorte toccata agli umili.