"Ritorno ad Harlem" non è solo un romanzo: è una vera e propria celebrazione, un ballo cadenzato dalle note di quello sfrenato jazz che ha cristallizzato per sempre, nell’immaginario di tutti, i "ruggenti anni Venti". Ma qui non parliamo di Gershwin, né, tantomeno, del Grande Gatsby. Il mondo da cui muove Claude McKay è infatti quello della New York afroamericana, di una Harlem che, successivamente ai disagi della Grande Guerra, ha attirato migliaia di neri dal sud degli Stati Uniti e da altre zone dell’America, tutti con l’obiettivo di dare vita a una scenografia per le proprie speranze di emancipazione. Il cosiddetto Rinascimento di Harlem è un’epopea vitale, sanguigna, perennemente sospesa fra la disperazione della miseria e il vitalismo di una comunità che cerca di costruirsi un proprio spazio di libertà. Una lettura imprescindibile, per tutti e a ogni latitudine.
Claude McKay (1889-1948) nasce a James Hill, nel sudest della Jamaica, da una famiglia di contadini proprietari di terra. Avviato agli studi da un fratello, manifesta sin da giovanissimo una forte vena letteraria, pubblicando il suo primo libro di poesie, "Songs of Jamaica", nel 1912 (un originale esperimento in lingua patois). Nonostante i moltissimi viaggi e una vita fatta di avventure e lavori di ogni tipo (visiterà l’Unione Sovietica, si sposerà in Giappone e abiterà a Londra), il suo nome è per lo più associato al cosiddetto Rinascimento di Harlem. Trasferitosi in America nel 1912, infatti, entrerà ben presto in contatto con la frenetica scena creativa del più grande quartiere nero di New York. "Ritorno ad Harlem" (1928), sicuramente la sua opera più famosa, è una celebrazione della vita di strada e, al contempo, una denuncia della profonda iniquità della società americana. Fra i suoi altri libri, si possono anche citare "Banjo" (1929) e "Banana Bottom" (1933).