Filosofo solitario e inattuale per eccellenza durante il ventennio fascista, Giuseppe Rensi pubblicò la sua Filosofia dell'assurdo nel 1937, versione ampliata di un testo scritto tredici anni prima, che egli aveva sentito «fluire nel cervello come una piccola corrente di lava». Oggi leggiamo questo libro come la formulazione più matura e per certi versi testamentaria del suo pensiero. Tutti i temi fondamentali di Rensi - e in particolare la sua polemica virulenta contro ogni forma di lettura razionalistica, provvidenzialistica, tranquillizzante della storia - sono presenti in queste pagine e inanellati in una argomentazione che è insieme consequenziale ed elegantemente digressiva, secondo la tradizione del grande saggismo europeo. All'epoca della stesura, Rensi era un reietto. Oggi i suoi pensieri si allacciano in modo naturale a quelli di molti autori (da Nietzsche a Cioran) che appartengono al panorama essenziale della nostra cultura. E la sua tesi suona ora più convincente che mai: la storia non è che lo sforzo per allontanarsi dal presente, perché questo è sempre più assurdo e male.