Jacques Saurel, nato nel 1933, avrebbe potuto subire il destino riservato a numerosi bambini, figli di genitori ebrei emigrati dalla Polonia tra le due guerre: Auschwitz e la camera a gas. È grazie a suo padre se in un primo momento riesce a sfuggire alla deportazione: arruolato volontario, poi prigioniero di guerra, questi è protetto, così come la sua famiglia, dalla Convenzione di Ginevra. Ma i nazisti cercano degli ostaggi da deportare. Così, nei primi giorni del febbraio 1944, Jacques, la sorella maggiore (la minore è stata nascosta) e il fratellino sono internati per tre mesi a Drancy, per essere poi deportati nel «campo della stella» di Bergen-Belsen con la loro mamma.
Da quel momento è grazie a lei che riescono a sopravvivere. Pur beneficiando di condizioni «privilegiate» poiché i nazisti vogliono servirsi di loro come di «merce di scambio», questi bambini non avrebbero mai potuto resistere senza il sostegno morale e i sacrifici della loro mamma, tanto più che le condizioni di vita, già molto difficili, si deteriorano a partire dall’autunno 1944, man mano che arrivano i sopravvissuti delle evacuazioni dell’Europa dell’ est. Il campo di Bergen-Belsen, la cui organizzazione si sgretola, diventa allora un vero e proprio cimitero dove regnano fame ed epidemie.