Nel 431 a.C. la guerra fra Atene e Sparta segnò un tornante della Storia dopo il quale la Grecia non sarebbe mai più stata la stessa. La lotta sanguinosa e trentennale fra le due poleis rappresentò il crepuscolo della civiltà ellenica. Tucidide, vittima e spettatore di un epocale momento di passaggio, lo assunse come pietra angolare di un'analisi che mirava a cogliere, al di là dei fatti, i movimenti sotterranei che agitano la parte più nascosta della Storia. La sua analisi chirurgica, a tratti feroce, certamente disillusa, spinge il lettore a interrogarsi sulle tragedie che si ripresentano sempre uguali nella vicenda umana. Morale e potere si scontrano, così come le imposizioni e i diritti maturati dai vincitori si abbattono su ciò che resta dei vinti. Il grande gioco della Storia torna sempre: la giustizia dei potenti imposta ai deboli. Lo schema tucidideo rifugge da uno stile epico, esclude il ricorso a elementi di colore anche nel racconto degli avvenimenti più drammatici: solo nudi fatti, scolpiti con una prosa scarna e, quindi, tanto più efficace e indimenticabile.