In quella che è universalmente riconosciuta come una delle sue tragedie più riuscite, Alfieri infonde la disperazione e il senso di impotenza che l’Uomo prova di fronte alle proprie stesse pulsioni. Se normalmente l’orizzonte tragico si esprime attraverso il conflitto fra l’eroe e un mondo esterno avverso ai suoi propositi, in "Mirra" – scritto fra il 1784 e il 1786 – la protagonista combatte contro un elemento ancora più oscuro: la propria coscienza profonda. Mirra è infatti incestuosamente attratta dal padre Ciniro, e per questo maledice il destino e la propria madre, di cui è mortalmente gelosa. Dall’unione abominevole fra i due, secondo la mitologia, sarebbe poi nato Adone.
Un’opera intensa, che anticipa di un secolo le intuizioni freudiane sul subconscio.
Vittorio Amedeo Alfieri (1749-1803) nasce ad Asti da una nobile casata comitale. Già bambino estroverso e volitivo, descriverà i primi noiosi anni di vita come i "nove anni di vegetazione", e quelli trascorsi all’Accademia Reale di Torino come gli "otto anni di ineducazione". Dal 1766 al 1774 serve come alfiere nell’esercito piemontese, dedicandosi poi a lunghi anni di viaggi per tutta l’Europa, fra amori contrastati e duelli sanguinosi. Nel 1777 rinuncia alla cittadinanza piemontese e conosce la contessa d’Albany Luisa, donna il cui amore lo accompagnerà per sempre. Di ideali libertari, simpatizza inizialmente per la Rivoluzione Francese, ma trascorre gli ultimi anni a Firenze in ostinato isolamento dalle vicende napoleoniche. Considerato fra i capostipiti italiani del classicismo e del romanticismo, è autore di innumerevoli opere, fra cui si devono citare almeno le tragedie più note come "Filippo", "Maria Stuarda" e "La congiura de ‘Pazzi".