"I Promessi Sposi" di Guido da Verona mantiene lo stesso titolo della celebre opera di Manzoni perché intende essere una sua rivisitazione in chiave goliardica ambientata negli anni Venti. Il lettore può muoversi così tra pagine più politiche (come, ad esempio, la satira contro il fascismo) e pagine più erotiche. Lucia è una bella donna che parla francese e che, per riuscire nei suoi intenti, non si rifiuta a nessuno... o quasi. Se infatti Don Rodrigo riesce ad attirare l'attenzione della donna viaggiando su una bella Chrysler nuova di zecca, lo stesso non si può dire del malcapitato Renzo, che guida una semplice Fiat 525. E Don Abbondio? Il nostro Don Abbondio se la spassa con Perpetua, mentre la monaca di Monza si rivela, in questa versione dei Promessi, una donna piuttosto lasciva...
Guido Verona (1881-1939) nasce nel comune modenese di Saliceto Panaro da una famiglia ebraica. Dopo aver esordito come poeta dannunziano ("Commemorazione del fatto d’arme di Brichetto", "I frammenti di un poema" e "Bianco amore"), nel 1911 pubblica "Colei che non si deve amare", primo di una lunga serie di romanzi d’appendice che otterranno uno straordinario successo di pubblico. Aggiungendo al suo nome la particella "da" – così da ricalcare la forma dei cognomi ebraici medievali – Verona dà alle stampe veri e proprie bestseller come "Sciogli la treccia", "Maria Maddalena" e, soprattutto, "Mimì Bluette fiore del mio giardino", che nel 1922 raggiunge l’impressionante tiratura di 300.000 copie. Attestatosi come l’autore più venduto degli anni Venti, trascorre gli ultimi anni in un rapporto ambivalente col regime fascista. Non è mai stato chiarito se la sua morte sia avvenuta per suicidio (in polemica con le leggi razziali) o per l’aggravarsi dell’angina pectoris che lo affliggeva.