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Il libro dei morti

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Folgorante esordio narrativo di Alfredo Panzini, pubblicato per la prima volta nel 1893, "Il libro dei morti" rappresenta a tutti gli effetti un genuino rigetto per i manierismi veristi, tanto in voga in quegli anni. In uno Stato Pontificio al collasso, dove si subodora l’imminente crollo del potere temporale dei papi, l’oscuro G. Giacomo ottiene di "levarsi dal suo sepolcro", avviandosi quindi verso quella che era stata casa sua. Con le sue atmosfere cupe, i frequenti rimandi alla nutrita cultura classica del suo autore e quel suo insistere sul tema della morte e dell’aldilà, il presente romanzo si offre a chi lo legga come un monito sul valore ultimo della vita. Non senza ricorrere all’allusiva ironia tipica della prosa di Panzini...

Alfredo Panzini (1863-1939) nasce a Senigallia, figlio di un medico riminese. Trascorsa l’infanzia a Rimini, frequenta il Convitto Nazionale Foscarini a Venezia e poi l’Università di Bologna, laureandosi in Lettere (fra i suoi docenti, anche Giosuè Carducci). Insegnerà per tutta la vita al Liceo Ginnasio Statale Terenzio Mamiani di Roma, affiancando alla professione di insegnante una vivace produzione letteraria e lessicografica. Nel 1905, infatti, è fra i compilatori del Dizionario Moderno Hoepli. Scrittore estremamente prolifico, firma una trentina di romanzi (fra cui "Rose d’ogni mese", "Il padrone sono me!" e "La sventurata Irminda"), ma è anche autore di vari saggi storici ("Sigismondo Malatesta") e letterari ("L’evoluzione di Giosuè Carducci").